I bambini senza secchiello e paletta

spiaggia2Cosa fanno i bambini in spiaggia? Fanno castelli di sabbia, giocano a pallone e a biglie, fanno il bagno. Scene normali da sempre, in una qualsiasi spiaggia di un qualsiasi luogo, in questo periodo, nel mondo occidentale. Per noi adulti è un divertimento e un’emozione vederli correre a perdifiato sul bagnasciuga, perché ci ricordano, automaticamente, la nostra infanzia, e la voglia di condividere con i nostri figli, quei momenti un tempo nostri.

Esiste, purtroppo, una parte di mondo nel quale i bambini non potranno mai passare, nemmeno per un giorno, i momenti di cui sopra. La motivazione, che cercano di inculcarci sin da piccoli, è che, loro, sono bimbi poveri e vittime delle guerre, senza darci alcuna spiegazione, perché, con i bimbi, quelli fortunati e nati dalla parte “giusta” del mondo, non si parla, perché “non sono pronti e non potrebbero capire”.

E si va avanti così, generazione dopo generazione, a non comunicare, a non sapere, a non cercare il dialogo e a smettere di essere curiosi. Tutti votati al quieto vivere, cercando di scansare, con la sconnessione emotiva, il peggio di questo mondo e anche il meglio, restando in un limbo in cui la realtà della maggioranza, diviene realtà assoluta e insindacabile. E’ in questo modo che si crea il vuoto generazionale, ovvero sia, quell’accadimento storico tragico, per il quale i figli pensano e sentono come i loro genitori, senza che i primi sentano la necessità di creare un nuovo mondo con nuove idee.

Partendo da tutto ciò, cosa poter dire delle foto di quei quattro bambini morti in spiaggia, quelli, per l’appunto, senza secchiello e paletta? Alcuni predicano il silenzio, altri la rimozione di quelle immagini, altri ancora una presunta indignazione. Io penso che si debba urlare con tutta la forza che abbiamo; un urlo che possa scuotere le fondamenta del mondo, la cui scossa arrivi come un cataclisma ai nostri cuori e alle nostre menti. Un boato che possa sconquassare tutti coloro che, ormai, pensano di aver metabolizzato tutto ma che, al contrario, stanno soltanto sconnettendo un avvenimento, perché sentono di non possedere risposte adeguate allo stesso.

L’immigrazione non è un problema, è semplicemente una reazione ad un comportamento storico, che vede il nord, sfruttare il sud del mondo, tutto il resto sono chiacchiere buone per coloro che intendono spendere la loro vita nella perpetua accettazione dell’alibi come valore centrale.

Se in occidente avessimo ancora un cuore e un’anima, di fronte al corpo martoriato di un bambino naufrago, non potremo più nemmeno pensare di “ragionare”, come molti noi “ragionano”, in relazione al tema immigrazione, con quella sequela di amenità e luoghi comuni che, per chi li sostiene, ha una responsabilità morale uguale ad uno scafista qualsiasi. Sia chiaro, non solo i razzisti di professione, ma anche gli indifferenti, i volutamente poco informati e i qualunquisti, per me, dinanzi alla storia, hanno la stessa responsabilità degli aguzzini, siano essi mandanti ed esecutori materiali.

Per una volta io chiedo a coloro che fanno parte dell’esercito dei “io non sono razzista però…”, di guardarle attentamente le foto dei bimbi migranti morti sulla spiaggia e del camion con cinquanta persone asfissiate. Di mettere da parte quel muro di paura che ci fa dire e fare cose atroci, all’insegna della normalità e di sentire dal profondo di un’umanità nascosta ma non perduta che, al di là, delle credenze del momento, lì, di fronte a me, non c’è nient’altro che una persona, come me, che cerca dignità e futuro e che, nello stesso tempo, sta mettendo in discussione con la sua stessa condizione, il profondo orrore di un mondo ormai morente.

 

C’è un’unica cosa da fare per non partorire i mostri della storia, oggi impersonati dai Salvini, dalle Le Pen e dai Rockfeller. Cercare di fare qualcosa con se stessi, prima che l’ombra macabra della disumanizzazione, accechi la volontà di essere umani e di cercare le verità come ultimo e più grande degli ideali.